Perché gli architetti poi, scrivono male
Alessandra Alampi
‘’Perché siamo in grado di ricordare il più piccolo dettaglio che ci è accaduto, ma non di quante volte l’abbiamo detto alla stessa persona.’’ Come uno specchio smorzato, che delle rovine che porta accoglie luci lontane, delle nostre giornate dove gli anni erano meno, nascoste, delle strutture che ci hanno fermato da innocenti. Nella fragilità dei riflessi della notte che sapienti mani e forza bruta di artigiani forgiavano le difese della nostra identità. Hanno una vivacità delle cose sottili i battitappeti intimisti, che non ricavano luce propria ma quella saldata alla terra. Del moto del sistema osseo e fragile, fedele alle leggi naturali che lo abitano. Si muove di energia e forza in potenza, in attesa spasmodica della scossa purificatrice, che riscuote i panni dalla polvere del sonno. È una città in potenza, pronta a chiudersi in caso di assedio quella trasparente tracciata da mille e tante esercitazioni militari. Possiede il nervo delle cinghiate su un corpo nudo che accarezza il vento, ma rugoso della luce che lo calpesta addormentata. Possiede la vita dell’erba dove è cresciuto. L’erba dei vasi di Pandora che spargemmo da giovani senza contratto di apprendisti della civiltà [...] Ci sono libri e parole sprecate sul moto della nostra infanzia, di reti mai paghe e forze imposte. C’era una certa eleganza nelle flagellazioni rituali e nei sacrifici propiziatori, un equilibrio delle privazioni nel nome del buon governo. Quelle del ventre materno che è vaso di dolore, nel caso del figlio sbagliato, in un'ottica del buon acquisto. Poetica nelle città dolenti di sforzo meccanico, quando richiedevano l'intervento di riti terzi. Quando meccanizzavano la volontà di pulizia dell’altro. Standardizzavano gli oggetti di uso comune. E io di parole ne ho ancora tante ve lo giuro, perché gli architetti poi, scrivono male.
Il progetto è formato dalla composizione di sette battitappeto identici di vetro trasparente, vuoto e sottile, di 2.20 mt di larghezza per 1.80 di altezza. Situati in ordine casuale sul suolo della piazza d'armi, mantengono un collegamento visivo invisibile tra loro, non escludendosi mai. Sorreggono ognuno un velo di foglia d’argento che riflette la luce scomponendola nella sua superficie piegata e irregolare, dovuta alle condizioni ambientali che si presenteranno nel luogo di installazione.
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What is painful may none the less true
Maurizio Bongiovanni
Come uccelli in gabbia, alcune importati figure sono state forzatamente rinchiuse nelle prigioni di Castel Sant'Elmo, ma le loro voci, come un vero e proprio canto d'usignolo, sono riuscite a uscire dalle possenti mura del castello, raggiungendo chi stava dall'altra parte e attraversando secoli di distanza. L'intervento che propongo, vuol essere una riflessione sulla caducità e bellezza della vita. Una considerazione sul tempo e sul suo utilizzo, bene prezioso all'uomo ma anche facilmente dissipato. In una silenziosa sala di Castel Sant'Elmo, vorrei proiettare un video di uccelli ripresi nel loro volo verso l'alto ma, simultaneamente trascinati, come se fossero lacrime, verso il fondo dello schermo. Un'immagine di fugacità, fragilità e caducità della bellezza. Il video sarà proiettato su un'intera parete e la costruzione del sonoro sarà affidato a uno o più musicisti provenienti dal Conservatorio di Musica San Pietro a Majella di Napoli che interpreteranno l'intero progetto visivo, collaborazione tesa a sottolineare l'argomento del concorso. La mia speranza è di entrare in questo luogo attraverso un progetto video che non solo unisce differenti figure professionali nella realizzazione del progetto, ma omaggia un fattore fondamentale, quello di avvicianare le persone attraverso un'esperienza visiva/sonora. Immagino la proiezione del video come un vero e proprio concerto, dove la musica darà forte enfasi all'immagine, una sincera ricerca di contatto. La possibilità di realizzare questa “visione” nello spazio unico e vivido di Castel Sant'Elmo sarà un lavoro di alto valore tecnico e di forte impatto emotivo. Il progetto visivo vuol tenere in considerazione l'avifauna presente nel territorio napoletano come bene prezioso da custodire. Vuole essere uno spunto per riflettere intorno all'uomo moderno, nel considerare e riconoscere la sua impermaneza terrena.
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Cut Up
Chiara De Marco
Il progetto prevede un’installazione di schermi a parete, ciascuno dei quali, una volta toccato dallo spettatore, riprodurrà una traccia audio. Ogni traccia, udibile in vari ambienti della struttura grazie a degli altoparlanti, reciterà testi inerenti al Castello e/o al contesto napoletano da me rielaborati mediante la tecnica del cut up, procedimento che consiste nel tagliare e scomporre messaggi per crearne di nuovi, secondo un altro ordine, spesso apparentemente no sense. Il cut up, simile al collage, utilizza elementi già esistenti per interrompere i processi logici lineari e fa sì che le parole, frutto di convenzioni, diventino nient’altro che segni. Secondo Burroughs, dall’apparente caos affiora un vero e proprio ampliamento della consapevolezza, in cui i processi percettivi giocano un ruolo fondamentale. Si tratta di un vero e proprio metodo anti-narrativo e frammentato, alla ricerca di continue associazioni. Cambiare l’ordine delle connessioni logiche implica uno stravolgimento comunicativo, un linguaggio che non funziona secondo i parametri e le normative a cui siamo abituati ma che, proprio per questo, è in grado di evocare immagini inaspettate e imprevedibili, di svincolarsi dalle associazioni di pensiero abituali. Tramite il cut up è possibile eludere il controllo del linguaggio, sia per chi il cut up lo crea, sia per il lettore/ascoltatore del testo. Quello che vorrei fare è, da una parte, far sì che la percezione degli spettatori venga stimolata attraverso gli audio, dall’altra, dare loro la possibilità di creare nuovi contenuti, mettendo a disposizione su di un tavolo articoli, testi , varie paia di forbici e delle istruzioni base. Mi piacerebbe che l’azione venisse registrata dall’alto da una videocamera e proiettata in tempo reale all’ingresso o sulla facciata del castello, divenuto ormai un luogo di creazione sovversiva, fuori dagli schemi convenzionali.
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Hey man, don't push me!
Klodian Deda
In Piazza d’Armi esistono due edifici congiunti. Uno di due piani, e l’altro di un piano. Davanti ai due edifici ci saranno due code di persone (manichini) distinte l'una dall'altra. La prima coda sarà rivolta verso l’entrata dell'edificio di due piani. Invece l’altra coda sarà rivolta verso l’entrata dell'edificio di un piano. Il progetto consiste in due code di persone con scopi differenti. La prima coda che attende davanti all'edificio di due piani è piena di giovani, di persone con un abbigliamento elegante e con un aspetto molto metropolitano. Sono in coda per comprare l’ultimo modello di dispositivo della Apple. Invece la seconda coda che è a pochi metri dalla prima, è rivolta verso l’entrata del' edifico composta da un piano. Queste sono persone comuni, soprattutto famiglie con bambini. I loro aspetti sono molto stanchi e degradati. Si trovano in coda davanti alla porta di un “centro aiuti per le famiglie in difficoltà”. Con quest’opera vorrei porre l'attenzione sulle differenze sociali che esistono in uno stesso territorio. Sono lì che si guardano gli uni con gli altri, si osservano silenziosamente, fingono che tutto faccia parte della normalità. Cercano il combattimento continuo, ma per scopi ben diversi e molto lontani tra loro. Invece il pubblico non avrà un ruolo passivo. E' invitato a far parte dell’opera. Gli verrà chiesto implicitamente (o no) di mettersi in fila in mezzo ai manichini. Di confondere quel pubblico che non ha ancora visto l’opera. Perciò l'installazione globale viene percepita come reale dal pubblico ingenuo. Si pone poi la questione della scelta, forse già presa; in quale delle due code posizionarsi? Lo scopo non è di riviverlo, ma dimostrare questa realtà nella sua performance. I manichini saranno 30-40 circa in totale. Saranno suddivisi in due parti come nel progetto. I manichini verrano abbigliati adeguatamente secondo la loro appartenenza, come descritto nel progetto.
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Alta tensione – 30.000 V
Federica Di Carlo
Ho individuato un punto d’incontro all’interno del castello, l’ambulacro; parola latina che significa camminare, considerata una zona di disimpegno poiché luogo di collegamento tra ambienti altri. Il progetto ne vuole modificare la connotazione e la percezione, caricandolo di un nuovo "impegno”. Riflettendo sulle connessioni tra gli esseri umani ed il mondo, attraverso le tracce visibili ed invisibili che inconsapevolmente lasciamo al nostro passaggio, la più significativa di tutte è l’energia vitale. 30.000 V, è il limite oltre il quale l’elettricità diventa alta tensione, nell’opera sarà il numero di persone necessarie per completarla. Le persone avranno la possibilità di attraversarlo, incontrandosi a metà strada, diventando testimonianza di comunione tra energie che si fondono all’interno del castello. Di questi incontri rimarranno le tracce visibili delle impronte dei visitatori, depositate sul corrimano in rame; segni unici che con il passare del tempo aumenteranno e si paleseranno attraverso l’ossidazione attivata dai punti toccati dalle mani. Il ponte sarà così testimone e archivio di una mappatura di energia viva: 30.000 V(ite) che dopo circa un anno raggiungeranno il numero necessario per divenire alta tensione.
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Il riflesso della montagna
Caterina Chiara Gobbi
L’opera è composta da materiale riflettente esteso sulle mura esterne del Castel Sant’Elmo a Napoli. Il riflesso nasconderà l’edificio mostrando quello che lo circonda e creando un effetto spettacolare per chi dalla città guarderà verso l’alto. Questa semplice e temporanea addizione all’architettura antica del monumento sottolineerà l’importanza dello stesso, creando curiosità su quello che realmente è presente sotto lo specchio. In più mostrerà a chi lo guarderà il bellissimo panorama che circonda Napoli, facilmente dimenticato nella frenesia del quotidiano. Un intervento delicato ma di grande effetto, dove l’opera d’arte non è qualcosa di visibile nel luogo in cui è esposta ma al contrario osservabile solamente dall’esterno. Abolendo così la necessità rituale di recarsi in un posto prestabilito, esponendo l’oggetto sotto gli occhi di tutti. L’architettura del Castello, la creazione artistica e l’osservatore saranno così legati da un sottile filo che involontariamente li porterà a ragionare sull’opera alzando semplicemente gli occhi verso il cielo.
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#fotone
Gruppo NTA (Marco Donisi, Assunta Grimaldi, Erika Leo, Valentino Lombardi, Ilaria Zocco)
NTA è un team di giovani artisti attivi da anni sul territorio. Il gruppo utilizza molteplici tecniche e modalità artistiche in maniera non convenzionale . Alla base della loro ricerca artistica c’è la relazione, intesa come scambio orizzontale di saperi e di esperienze tra gli individui. #Fotone è un progetto artistico che si pone come obiettivo la condivisione di un’esperienza. L'opera è un dispositivo relazionale, costituito da sagome luminose poste sulle pareti interne del castello. Il metodo utilizzato è quello dei fotografi 'ambulanti' che, solitamente, ritraggono i turisti accanto alle attrazioni del luogo. Il fruitore, impersonando vari personaggi( il “re” o l’ “arciere”) diventa parte integrante dell’opera, liberandosi dalla sua condizione di semplice spettatore. L'opera si realizza, dunque, già nel processo, attraverso l'interazione che è pretesto e costruzione stessa dell'opera. Pubblicando la fotografia sulle piattaforme social come Facebook, Twitter e Instagram, usando come tag #fotone, il visitatore condivide con il web la propria esperienza, creando, quindi, un'amplificazione della sua esperienza che viene messa in connessione e abolendo le convenzionali distanze fisiche e culturali. L’opera, svuotata della sua immobilità, funziona come dispositivo relazionale, fortificata da un grado di casualità che la rende, più che una semplice installazione, una macchina capace di provocare occasioni di incontro collettivo. Le fotografie scattate nel Castello, condivise e partecipate attraverso la comunicazione 2.0, diventano frammenti di memoria individuale e dispositivi di costruzione di una memoria collettiva. L’esperienza, quindi, viene percepita nella sua vera natura: un bene comune.
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Permaculture
Luana Perilli
Il progetto si ispira agli orti sinergici, declinazione sostenibile dell’agricoltura contemporanea, in cui piante differenti abbinate beneficiano spontaneamente della mutuale presenza evitando all’agricoltore interventi di disinfestazione e concimazione chimica. Nel progetto permaculture la mutualità e l’interconnessione di elementi diversi ricerca la stessa spontaneità degli orti sinergici nel sostegno di discipline interconnesse e differenti. Il progetto è composto da tre elementi: un piccolo orto urbano in bancali, un palcoscenico e delle sculture in ceramica applicate come formelle ad uno dei muri che circondano la piazza d’armi. Le sculture in ceramica sono rifugi per insetti impollinatori che andranno ad alimentare l’ecosistema dell’orto mentre il palco avrà la funzione di ospitare readings, attività didattiche o qualsiasi tipo di improvvisazione dei visitatori. Il progetto vuole infatti non soltanto essere un intervento artistico nello spazio ma diventare un vero e proprio dispositivo per chi vive il castello da spettatore o da lavoratore cercando di portare e far dialogare diversi ambiti della conoscenza. Sarebbe auspicabile infatti coinvolgere associazioni presenti sul territorio campano che possano far crescere Permaculture attraverso interventi ulteriori, di sensibilizzazione alle nuove pratiche agricole ed ecologiche come alle forme espressive del teatro e del reading. Permaculture vuole quindi proporsi come un intervento in fieri costruendo attraverso il bando una prima struttura base da cui partire per creare una nuova socialità , didattica e scambio all’interno del castello. La ceramica, le arti teatrali e la comunicativa insieme all’eccellenza dei prodotti della terra sono tre tratti distintivi della cultura napoletana e mi interessava farli dialogare in maniera organica in un lavoro che tenesse conto delle nuove esigenze di condivisione e di aggregazione sociale intorno all’idea di sostenibilità.
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Riverbero (luce)
Ivano Troisi
L'opera è un'installazione che occupa una sala di Castel Sant'Elmo. Essa è ricoperta da uno strato di acqua di 10/15 centimetri ed è attraversata da una passerella di basalto così che la stanza possa essere percorsa evitando allo spettatore di bagnarsi. Una serie di spot illumina la scena. Nata da un'esperienza personale, l'installazione contiene una stratificazione di significati e valenze. A distanza di poche settimane dall'allagamento totale del mio studio, e dalla conseguente perdita di tutte le opere e i prototipi in carta realizzati sino ad allora, ho deciso di spostare il significato di quanto accaduto rendendolo funzionale ad una installazione site specific. L'acqua è un elemento fondamentale nella mia produzione; essa, infatti, è fondamentale per la realizzazione della carta che è l'emblema del mio lavoro. La stessa acqua che, invadendo il mio studio, ha cancellato il lavoro compiuto per mesi. Ho deciso di lavorare partendo dal concetto di perdita per trasformarlo, attuando un preciso rovesciamento di significato, in rinnovamento e purificazione. La rifrazione della luci degli spot sull'acqua genera inoltre dei riflessi. Tali riflessi si distribuiscono nello spazio rimanendo sempre legati all'atto performativo compiuto da chi attraversa la passerella. Ogni visitatore, infatti, ha un preciso andamento, per cui il movimento della luce è strettamente connesso a quello della singola persona. Ognuno di noi darà vita ad una precisa variazione dell'opera. Centrale è quindi la presenza di uno spazio di condivisione aperto allo spettatore, senza il quale viene meno ogni ragione d'essere dell'opera stessa. L'idea su cui voglio insistere è, da un lato, la necessità della presenza e dell'agire dello spettatore, e, contemporaneamente, dall'altro la tensione creata dalle valenze degli elementi.
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trappola sonora
Paolo Uboldi
Castel Sant’Elmo è sempre stato un luogo separato dalla città a causa delle sue caratteristiche morfologiche ma anche perchè ha sempre rappresentato il luogo dell’esclusione politica e sociale. Solo dopo l’apertura del polo museale ha iniziato ad aprire le proprie porte alla cittadinanza ma dall’alto delle sue mura si ha sempre la percezione di osservare la città di Napoli come un’osservatore esterno, che riescse a percepire solo le morfologie ma non riesce ad afferrare le altre caratteristiche intrinsiche come i sapori , i profumi ed i rumori. Da queste considerazioni nasce la trappola sonora. Attraverso questo strumento il visitatore potrà ascoltare i rumori provenienti dalla città sottostante e se vorrà potrà restituire alla città i suoi sentimenti attraverso la propria voce, diventando lui stesso centro di comunicazione tra il castello e la città. Il visitatore, attraverso l’iterazione con l’opera, avrà la percezione di poter instaurare un contatto intimo e privilegiato con l’anima di Napoli, un contatto che fino ad oggi è sempre stato negato. Si è scelto di formalizzare questo strumento attraverso il progetto di un corno ancestrale in quanto antico strumento sonoro di comunicazione, oltre che elemento iconico napoletano (il colore ne è un omaggio); grazie alla bocca verso il castello i visitatori, uno per volta, potranno inserire la testa all’interno avendo oltre ad un’esperienza sonora molto intima, anche un’esperienza visiva particolare che aumenterà la percezione visiva di questo dialogo. Sarà come sussurrare all’orecchio di un amico i propri sogni, i propri sentimenti, estraniandosi per un momento dalla realtà che ci circonda. Per un momento non si avrà più la percezione di stare a Castel Sant’Elmo ma di trovarsi in un luogo mai esistito, un luogo fatto di suoni e rumori, un luogo in cui rifugiarsi per parlare con la città.
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