Finalisti VIII edizione

CONCORSO GIOVANI ARTISTI– CASTEL SANT’ELMO, NAPOLI
Chiusi dentro, chiusi fuori.
Come salvarsi insieme, come ricostruire comunità.
Cosa ci lascerà questa crisi?

 

I PROGETTI DEI 10 FINALISTI


 

Cuntrora

Edoardo Aruta

Il termine cuntrora nella cultura napoletana sta a indicare l’ora contraria, cioè l’ora che viene trascorsa come ora della notte, dell’utopia, del sogno. Il titolo del progetto prende in prestito il termine CUNTRORA in quanto invito alla sosta, alla contemplazione, al perdersi tra i luoghi della città, le sue storie, i suoi sentimenti e chi la abita, grazie ad uno sguardo ravvicinato che tenta di colmare simbolicamente le distanze tra persone. L’installazione prevede un cannocchiale panoramico in acciaio sulla cui superficie verranno incise a laser alcune poesie napoletane come: ‘Damme ‘a mano’ di Salvatore Di Giacomo, ‘A luna’ di Achille Serrao, ‘Fenesta ascura’ di Roberto Bracco, ‘A Millèno’ di Michele Sovente e ‘Uocchie ca me parlate’ di Totò. L’obbiettivo della proposta CUNTRORA, in aggiunta all’installazione del dispositivo sugli spalti panoramici, è di sconfinare oltre le mura del Castello e creare un continuum con le poesie che segnano il corpo del cannocchiale intervenendo con pittura a stencil su alcuni tetti della città sottostante ancora con poesie napoletane. La poesia viene assunta come strumento catalizzatore di prossimità ed i versi di autori napoletani, quali ad esempio Murolo, Di Giacomo, Di Capua, Galdieri, Russo, Totò e De Filippo, si mostrano allo sguardo attento del cannocchiale come una costellazione di significati in relazione con il paesaggio. Il progetto vuole ‘spingersi in là’ ed essere un omaggio a Napoli e ai corpi che l’attraversano, un invito alla scoperta di prospettive alternative, di nuovi sodalizi, amori e al ricongiungimento tra corpi lontani: è un’opera che guarda alla parola come corpo tra i corpi.

 

Il Pozzo dei Desideri

Fabrizio Bellomo

Un gesto naturale e immaginifico. Quello di guardare cosa c’è giù nel pozzo. Un gesto che ritroviamo sia nelle favole quanto nella cronaca, perché un topos. Un invisibile sistema di fotocellule ­­– che rivelerà la presenza umana sporgersi dagli argini, per tentare di guardare giù nel pozzo – sarà collegato ad un piccolo ma potente impianto audio, che ogni volta attivato ripeterà la seguente frase: “Abbiamo esagerato nel superfluo, non abbiamo più il necessario” Come se all’ennesimo desiderio da richiedere al pozzo, esso rispondesse così. Questa frase, che si ripeterà a ogni curiosata umana nel fondo del pozzo è di Proudhon, tratta da “La Guerra e la Pace” del 1861, quanto mai attuale, se si pensa al necessario come alla socialità sospesa in quest’ultima annata. La frase da registrare sarà fatta recitare a una voce iconica del mondo teatrale o culturale napoletano e nazionale, come quelle di Lello Arena o Tony Servillo o Enzo Avitabile. L’opera andrà quindi a contestualizzarsi in maniera mimetica nell’architettura del castello e a dialogare con le altre opere.

 

Riflesso esperienziale

Paolo Bini

Riflesso esperienziale è un’opera che genera un dialogo tra paesaggio e contesto storico. Ai visitatori sarà sufficiente, da una posizione indicata con appositi segni nel pavimento, guardare attraverso un contenitore in vetro, tondo, bi-convesso, pieno d'acqua. Per la teoria dell'indice di rifrazione di Snell, la parte del paesaggio delimitata dal contenitore apparirà capovolta. Il segmento del paesaggio capovolto, in contrasto con l’evidente logica del restante scenario, visibile in continuità a destra e a sinistra del vetro, susciterà straniamento, offrendo un primo riflesso esperienziale. L’analogia tra l’imprevedibile pandemia e l’illogicità del segmento capovolto spingerà a riflessioni sul nostro far parte della natura. L’uomo, unico essere vivente in grado di infliggere mutazioni irreversibili alla natura, percepirà una più profonda consapevolezza di se stesso: della sua forza, degli effetti delle sue azioni, delle sue fragilità e del suo limite, delle capacità di adattamento e condiscendenza, pensieri e percezioni, generando uno spillover percettivo.

 

Borderline

Collettivo DAMP

Mura: luogo della separazione per eccellenza, una linea netta che sembra assecondare una visione della realtà binaria e oppositiva. Se frequentando i margini trovassimo la via d’uscita a tali narrazioni dicotomiche? Se fossero i confini i luoghi più adatti per praticare lo sconfinamento? In un gioco di sostituzioni e distorsioni, l’angolo di una parete tufacea si fa sintesi di una realtà porosa che si lascia compenetrare da differenti punti di vista. I concetti topologici vacillano: un fuori s’insinua in un dentro e prende le forme di questa nuova collocazione, continuando a offrirci una possibilità di visione su ciò che è all’esterno.

 

 
La distanza che ci unisce

Emmanuele De Ruvo

La scultura/istallazione da me concepita per l’VIII° edizione di Un'Opera per Il Castello, vuole mettere in atto, fisicamente ed esteticamente, quelli che sono i limiti, i disagi, le paure, ma soprattutto la volontà di affrontare e riacquistare le certezze e le libertà individuali e sociali che ci sono venute a mancare. Il teatro fisico inscenato mette sotto i riflettori una sfera, simbolo per eccellenza di perfetta unità ed armonia, divisa in due semisfere forzatamente obbligate alla separazione perché vincolate a due cavi d’acciaio. Come le due porzioni di sfere, anche noi siamo stati vincolati alla separazione da mezzi giuridici e non solo, rinunciando alla libertà di unirci e alla socialità che caratterizza l’essere umano. Nel cuore della pietra si nasconde una fortissima volontà di tornare insieme, di essere un tutt’uno. Due magneti dotati di forze enormi che se potessero si attrarrebbero l’un altro, sono in realtà soggiogati da semplici regole fisiche, come le regole che in questo momento storico ci hanno impedito e ci impediscono di abbracciare i nostri cari, i nostri amori e troppo spesso togliendoci la possibilità di farlo per un'ultima volta. Così quei magneti chiusi all’interno della pietra si attraggono incessantemente l’un l’altro per tornare liberi, mentre fuori le regole/cavi creano uno spazio aperto, una distanza che ci divide, ma che continua ad essere carica di forze invisibili che trasposte nell'essere umano diventano volontà individuali che ci accomunano tutti. La frase "La distanza che ci unisce", realizzata in acciaio ‘’inossidabile’’, nel complesso istallativo, vuole sottolineare, nel suo significato, le difficoltà ma anche la capacità di superare la paura e la sofferenza che ne conseguono e, nel suo materiale e rispettive caratteristiche chimiche, la forza e la capacità di rimanere invariata nel tempo.

 

Il resto (di niente) siamo noi

Nicola Guastamacchia

Nel primo libro dell’Eneide, Enea ed i suoi compagni, in fuga da Troia, si trovano naufraghi sulle rive di Cartagine. In questo difficile momento l’eroe pronuncia la famosa frase di incoraggiamento: Forsan et haec olim meminisse iuvabit [Forse un giorno ci gioverà ricordare persino queste cose] Si racconta che queste siano state anche le ultime parole pronunciate da Eleonora Pimentel Fonseca, protagonista della Rivoluzione Napoletana, prima della sua esecuzione in pubblica piazza a Napoli nel 1799. Castel Sant’Elmo fu per lei il luogo del coraggio e della speranza. Il 20 Gennaio 1799 era infatti tra le patriote che elusero la sorveglianza del Castello favorendo l’entrata dell’esercito francese in città. Da quel momento mise al servizio della rivoluzione quel che aveva di più caro: la scrittura. A Febbraio fu fondato il Monitore Napoletano ed Eleonora divenne tra le prime donne in Europa a dirigere un giornale. Alla sua storia è dedicato il romanzo Il Resto di Niente di Enzo Striano, il cui titolo allude al timore della protagonista che le sue idee ed il suo sacrificio finissero dimenticati. Ispirata dal libro, l’opera qui proposta si intitola Il Resto (di Niente) Siamo Noi e prende la forma di una scritta luminosa - lunga 7 metri e composta con lo stesso carattere utilizzato nel giornale repubblicano - che ripropone le ultime parole di Eleonora nel luogo dove aveva creduto maturi i tempi per un futuro nuovo. La frase “forsan et haec olim meminisse iuvabit”, rassicurandoci sull’imprevedibilità del futuro a dispetto della tragicità del presente ed esortandoci ad affrontarli insieme, sembra particolarmente adatta per riflettere sulla crisi politica, culturale e sanitaria che viviamo oggi. L’opera afferma l’importanza di coscienza, memoria ed identità collettive non solo per perpetuare il ricordo di questa importante storia del Risorgimento Italiano, ma anche e soprattutto per non dimenticare che la società ed il suo avvenire dipendono da noi.

 

Tattili onde comuni

Roberto Pugliese

Il progetto nasce dalla volontà di restituire importanza e dignità a quello che è probabilmente stato il più danneggiato tra i sensi dall’inizio di questa emergenza sanitaria, ovvero il tatto. L’installazione prevede l’utilizzo di otto cilindri, sui quali è stato montato un pannello realizzato con una speciale ed innovativa pelle artificiale realizzata nel COSMIC LAB presso l’Università degli Studi di Genova ( Dipartimento di Ingegneria Navale, Elettrica, Elettronica e delle Telecomunicazioni -DITEN ) sotto la guida della Prof.ssa Lucia Seminara e del Prof, Maurizio Valle con i quali abbiamo iniziato una proficua collaborazione già da diversi anni. Questa pelle contiene al suo interno decine di micro-sensori i quali, grazie ad un software realizzato ad hoc da me, trasformano il senso tattile in suono. In questo modo, le persone toccando, sfiorando, accarezzando o percuotendo i pannelli potranno liberare le emozioni che troppo a lungo per colpa di questa pandemia hanno tenuto chiuse dentro, recuperando ed esternando grazie al suono simbolicamente tutti gli abbracci, le carezze ed i gesti amichevoli, amorevoli e non che ci sono stati proibiti. Il suono verrà riprodotto da una cascata di altoparlanti da esterni (impermeabili) di diversa potenza e misura ancorati al soffitto e al pavimento di una struttura di forma cilindrica posta al centro dell’installazione. La qualità e la quantità dei gesti tattili sarà trasformata in tempo reale in suoni più o meno complessi i quali diventeranno sempre più organici ed armonici in base al numero di fruitori che utilizzeranno contemporaneamente l’installazione. L’aspetto “ludico” del lavoro e l’invito a partecipare in più persone creano una sorta di collaborazione pensata per mettere in discussione il senso di diffidenza verso l’altro, inevitabilmente indotta dalla diffusione del virus. Una strategia che mira a far in modo che persone che non si conoscono possano in qualche modo relazionarsi e contribuire alla ricostruzione del senso di comunità che a causa dell’isolamento forzato si è purtroppo sgretolato negli ultimi mesi.

 

Verso il Mare e le Terre

Ivano Troisi

Verso il Mare e le Terre esemplifica il gesto del lancio, ovvero un percorso che collega luoghi e spazi diversi. L’intervento è composto da una lancia, in acciaio inox, dipinta in oro, con doppia punta, che, fa breccia nelle mura del Castello. L’opera rappresenta il momento esatto in cui la lancia attraversa le mura, lasciando di egual misura i tronconi visibili La scelta del posizionamento, determina un punto di osservazione privilegiato: uno ‘Scenario spirituale’. La ‘lancia’, punta da un lato alle Terre e dall’altro il Mare e le terre oltre il bacino mediterraneo, pre-figurandosi come centro di energie in cui si incrociano culture; fenomeno riconosciuto, da Secoli, alla Città di Napoli. Il simbolo della lancia non evoca alle guerre del passato, ma alla forza e la determinazione: ‘armi’ che l'uomo dovrà utilizzare, per riconquistare i propri spazi, i suoi diritti, in seguito a questo cruciale momento storico.

 
 
Il tempo di un respiro/ 9 marzo 2020

Virginia Zanetti

L'opera si formerà con le frasi poetiche scritte in relazione alla data del 9 marzo 2020, data in cui scattò il primo lockdown in Italia. Cosa stavate facendo quel giorno? Cosa avete pensato? Credo che ognuno di noi ricordi molto bene qualcosa della sua vita in relazione a quel giorno, qualsiasi essa sia. L'emergenza del COVID-19 ha spostato l’atto creativo all'interno della vita stessa ma la poesia resta sempre un buon mezzo per sconfiggere il Tempo. Durante l’isolamento ognuno di noi ha avuto modo di conoscere meglio alcune parti di sé e forse anche degli altri, io per esempio per farlo ho scritto dei pensieri poetici su un diario. Con quest'opera vorrei condividere con altre persone questa pratica in relazione alla data da cui tutto è cambiato. Attraverso uno spazio web ed una open call chiederò alle persone di esprimere un proprio pensiero poetico della lunghezza di un respiro (una frase) a partire dalle ultime due lettere della frase di quella precedente. Queste frasi diventeranno una poesia collettiva che verrà proiettata come un flusso continuo di parole che scorrono sulle pareti del castello. Le dimensioni potrebbero essere variabili secondo il luogo scelto. Il luogo potrebbero essere i sotterranei dove anche Tommaso Campanella scrisse le sue poesie dal carcere.

 
Aura

duo ZingarelloPujia

«Il confine di contatto è il punto in cui si verifica l'esperienza, non separa l'organismo dal suo ambiente, assolve piuttosto alla funzione di limitare l'organismo, di contenerlo e proteggerlo, e allo stesso tempo si pone in contatto con l'ambiente. Potremmo dire che il confine di contatto - per esempio la pelle sensibile - più che essere parte dell'"organismo", è invece, in sostanza, l'organo di un particolare rapporto tra l'organismo e l'ambiente. La "dimensione terza" tra l'organismo e l'ambiente è il confine di contatto. È un punto di inter-connessione [...]. L'attività del contattare l'ambiente (o dell'essere contattati) avviene attraverso una demarcazione esperienziale - e per nulla necessariamente fisica - tra ciò che per l'organismo rappresenta sé stesso [...] e la regione selvaggia, in quanto ancora sconosciuta, che è l'alterità del mondo» (Perls, Hefferline e Goodman, 1997, pp. 18 e 39). Il confine è l’estrema linea, l’estremo dell’organismo che percepisce e si fa percepire dall’ambiente, linea in cui ha luogo il contatto. Il luogo liminale dove l’individuo fa esperienza dell’altro da sé, mette in discussione il tema del confine come limitazione in negativo. Invertendo il paradigma e sottolineando la soglia come organo di percezione. Non c’è confine che non sia condiviso. Il confine allora è connessione. È contatto: confine/affine. Le mura del castello non rappresentano dunque un confine ma sono pelle, organismo che permette di esperire, luogo in cui si verifica l'incontro. L'intervento consiste nell'applicazione di una foglia d'oro lungo il perimetro delle mura, segnando la soglia, preziosa, in cui avviene l’interazione tra l’organismo Castello e l’ambiente. Un'azione semplice e preziosa che sottolinea, con una linea d’oro, la pianta del castello – singolo caso a sei punte – svelando la pelle di una struttura che ha avuto a lungo una funzione carceraria, di contenimento e fortificazione. Chiusi dentro / Chiusi fuori. Il confine è oro.

 

 

 

 

 

Storia Vincitori e Finalisti

Concorso un'Opera per il Castello - Napoli, Castel Sant'Elmo



webmaster Gabriella Pennasilico


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