Finalisti VI edizione
CONCORSO GIOVANI ARTISTI– CASTEL SANT’ELMO, NAPOLI
LE FORME DELL’ABITARE.
Convivenza e interazione.
I PROGETTI DEI 10 FINALISTI
Volte
Giulia Berra L'installazione si configura come una volta ribassata, che riprende l'architettura sovrastante ed è realizzata con refe, corde e frammenti di pomice. Ariosa e avvolgente, si presta alla contemplazione e alla riflessione. La collocazione sotto le arcate che si affacciano sul golfo contribuisce a stratificare i piani di lettura: da lontano la nube di pomice si sovrappone in modo allarmante al paesaggio; avvicinandosi, la struttura si evidenzia nel suo complesso, dando vita ora ad una rete neurale, ora ad una costellazione di minuscoli corpi celesti. Il progetto site specific si articola su pochi elementi essenziali in stretta relazione con il territorio e il suo precario e fragilissimo equilibrio, con la sua morfologia e la sua storia. Se le corde rimandano infatti alla dimensione marinara e al passato di carcere del Castello, la pietra vulcanica riconduce direttamente alla convivenza con il Vesuvio e all'interazione con l'ambiente naturale nel suo complesso. |
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CONCRETE.EARTH
Omar Checola Come il bambino che si recinta nello spazio all'interno di una stanza e inventa in quel modo il proprio spazio creativo, l'obiettivo del progetto è quello di cambiare e reinventare la percezione dello"spazio architettonico" del Castello. Già solo il gesto di stendere un tappeto contiene la fonte di riferimento per la costruzione e la trasformazione di uno spazio, ma è il tappeto con le sue caratteristiche, che, posto su una superficie stabile e dura, ha la capacità di definire uno spazio nello spazio. Un tappeto separa da terra, delimita un territorio e ne evidenzia l'uso; è un luogo di riunione e di raccoglimento, un'area di influenza che è strettamente personale; piccolo per pregare o grande che copre tutto lo spazio dell'abitare, esso riguarda sempre la nostra sfera più intima, il nostro lato privato. "Il mio tappeto è la mia casa" recita un antico detto persiano. Se ci pensiamo infatti, anche senza addentrarci nella mistica orientale, il tappeto era ed è stato fino a tempi recenti tutto per il nomade: giaciglio e pavimento, tovaglia su cui mangiare e porta d'ingresso alla tenda, luogo di preghiera e viatico per i morti. In tutti questi casi è sempre stato uno spazio simbolico, qualificato e questa tradizione del tappeto come "luogo eccezionale" continua ancora nelle nostre cosa; un bel tappeto all'ingresso di casa è come un biglietto da visita della nostra abitazione, dando anche un benvenuto all'ospite; il tappeto nel salotto "riscalda" quello spazio di raccoglimento della famiglia o degli amici. Stendere un tappeto in uno dei luoghi più suggestivi della città è come metterlo nel cuore della propria casa, un invito all'ospitalità, all'accoglienza, al piacere di stare insieme. "CONCRETE.EARTH" non è solo una forma, ma è una "infrastrutturazione" che di volta in volta modifica il suo significato e le sue possibilità inespresse, latenti e dipendenti da fruitori culturalmente diversi. |
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40°50'37.6''N 14°14'21.0''E
Lisabeth Ciavarella & Stefano Quagliarella L’intervento artistico propone un collegamento fra la storia di Napoli e l’architettura di Castel Sant’Elmo, muto osservatore dei cambiamenti; intersecandosi con la trama urbanistica della città e con il tessuto pavimentale della fortezza. Come solchi nel terreno generati dall’aratro, o “Vomere”, da cui la collina prende il nome, le tre lunghe fenditure, si sviluppano lungo l’Opus Spicatum di Piazza d’Armi, seguendo il verso delle file costituite dalle pianelle in terracotta, fino ad attraversare, metaforicamente, il porticato e collegarsi a Spaccanapoli, quell’“incisione”nel vasto intrigo di vicoli e case che divide in due la città, in cui l’abitare assume un significato simbolico, intatto nel tempo, microcosmo di relazioni, legame con la memoria, identità di un popolo, centralità delle sue condizioni d’esistenza. Solcature, dunque, come contrasto tra passato e presente (la terracotta,l’acciaio e il cemento),in cui una vorace urbanizzazione ha fagocitato, dall’800 e dal secondo dopoguerra in poi, la storia antichissima del Vomero, i suoi connotati originari, l’idilliaca vista e apertura al mare, l’orografia tipica del luogo, la sua identità. Fenditure come linee del tempo che scorrono parallele al succedersi delle vicissitudini storiche e sociali, intrecciando e riflettendo le caleidoscopiche sfaccettature delle esistenze che abitiamo. Incisioni simili a linee, intese anche come“crescita,“modernità,“progresso”, termini così in auge, sinonimi di un percorso illusoriamente illimitato verso un livello sempre migliore e più felice, rivelatosi, al contrario, perdente, fuori controllo: sistema destinato a implodere (il filo a piombo -la cementificazione- che rompe la linearità del tratto). Ciò che auspichiamo è un ritorno all’equilibrio che possa avvenire attraverso un dialogo tra spazio interno ed esterno, tra l’abitante, col proprio vissuto e l’abitato -il circostante-, riflesso dei molteplici modi di vivere e specchio (l’incavo del solco) di una società sempre più liquida. |
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Blow - forma nel vento
Flaviano Esposito L’opera progettata per i camminamenti della piazza d’armi di Castel’Sant Elmo è una scultura generativa, risultante da processi computazionali della modellazione parametrica. Blow si offre come luogo di dialogo e interazione, di sosta e contemplazione. Opera Speculare, da feticcio diviene strumento per una relazione concreta tra il monumento, il paesaggio e i visitatori. Invita il fruitore ad abbracciare con lo sguardo l’intera città, a entrare in relazione tattile con l’opera stessa, favorendo la condivisione dell’esperienza della sosta con gli altri visitatori che si soffermano lungo il percorso. La sua forma fluida e aereodinamica è l'insieme e il prolungamento di curve e linee date dalla mappatura dei diversi modi del sedersi. L'opera in legno e polimeri plastici impermeabili muta nella sezione superiore con una successione di moduli sagomati pensati per vibrare con il vento. L'intero complesso funziona da visualizzatore e cassa armonica, amplifica le vibrazioni in suoni, la percezione fisica aumentata dello spazio circostante. Pensata per gli spazi del Castello quotidianamente esposti al vento, predispone spazi per sedersi ed estrusioni allungate per adattarsi alle diverse posizioni assunte dai corpi che la abiteranno. La forma, ritorta come una struttura elastica, e le cromie con cui sono dipinte le tre sezioni orizzontali, bilanciate sulla sintesi tonale del paesaggio, la inseriscono nell'articolato scenario.
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IO e TE
Andrea Famà Il progetto “IO e TE” nasce come possibile risposta alla mancanza della comunicazione e alla scarsa partecipazione al vivere e all'interagire collettivo, problema che oggi intercorre tra gli esseri umani e soprattutto tra la categoria giovanile. Prendendo spunto dal perimetro e dall' intricata architettura del castello, ho realizzato un modello di "Contemporary Square", dove i fruitori hanno la percezione di vivere nel cuore del castello e sentirsi protetti. Abitare, quindi vivere, sedersi, riposarsi, godere della forma del castello e del paesaggio che lo avvolge, fulcro energetico ove convoglieranno idee e riflessioni, centro nevralgico dove meditare e partecipare attivamente al disvelamento della bellezza. Finalmente guardarsi, senza filtri, senza barriere, l'uno di fronte all'altro, l'uno accanto all'altro. Scambiarsi opinioni, sviluppare collaborazioni, crescere tutti insieme... |
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Noi non lo faremo senza rose
Melania Fusco Noi non lo faremo senza rose è il titolo di un'installazione site-specific pensata per l'ingresso del Castello: una scultura di petali di rose posizionata tra i due cannoni e realizzata con il coinvolgimento e la partecipazione di un gruppo eterogeneo di cittadini che vivono e lavorano presso il Mercato della Maddalena di Napoli. I cannoni - evocativi della storia fondativa del Castello e presidio a difesa della città - diventano 'attori' parlanti e portavoce di un messaggio preciso in un momento di tensione globale. Stimolando l'immaginario collettivo dei visitatori, Noi non lo faremo senza rose vuole far eco su questioni contemporanee riguardanti le pressioni sociali che attualmente coinvolgono la comunità internazionale. Se da un lato l'ingresso del castello rimarca l'attenzione alla difesa e ad una precisa circoscrizione del confine, dall'altro il mercato è da sempre forma di aggregazione e scambio, all'interno del quale convivenza e interazione sono condizioni necessarie di esistenza. Il tentativo di specifiche strategie politiche volte a condizionare il giudizio del cittadino rispetto all'idea di confine, limite, straniero, rischia di rendere le forme attuali dell'abitare aree definite al centimetro, avverse allo stimolo della contaminazione culturale, incapaci di rendere fluidi processi di convivenza e interazione. La compresenza dei due soggetti dell'installazione propone un'immagine che abbia la capacità di far convivere un sentimento liminale tra la serenità costruita nel quotidiano e la minaccia di un pericolo senza volto. La collaborazione tra i cittadini del mercato della Maddalena - il cui nome rievoca la figura della santa che storicamente incarna il sentimento di esclusione ed emarginazione - andrà a sintetizzare l'interazione come forma dell'abitare collettiva. |
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Arnia
Collettivo DAMP (Alessandro Armento, Luisa de Donato, Viviana Marchiò e Adriano Ponte) Sulla scia di una poesia di Pasolini che recita «E' un brusio la vita», si è voluto indagare l’aspetto sociale, fonico e architettonico degli spazi urbani. Questi si compongono di relazioni che s’intessono all’interno dei loro spazi: le comunicazioni possono intendersi come i fili di tale tessitura. L’arnia, struttura artificiale dove le api organizzano la loro colonia, si presta qui come metafora di Napoli, metropoli sovraffollata e strepitante, da noi interpretata come città-alveare. L’idea consiste nel captare - attraverso semplici registratori - conversazioni che si svolgono nei più svariati ambienti partenopei. Singolarità e banalità dei dialoghi convergono in una struttura a nido d'ape in resina e si dissolvono confusamente in un flusso sonoro gestito tramite tecnologia Arduino. La presenza di micro altoparlanti posti in ognuna delle 186 celle che compongono la forma alveolare, permette la riproduzione in loop di ogni singolo dialogo registrato. Arnia posizionata a mo’ di cupola, propaga un rumore sordo e vibrante, un ronzio che avvolge il fruitore nel minuto spazio di una delle torrette di avvistamento del castello. |
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Save our souls ...---...
Nuvola Ravera In codice Morse SOS è una sequenza di lettere che definisce una richiesta di soccorso. E’ la sigla della locuzione inglese Save our Souls, salvate le nostre anime. Partendo da questa richiesta di aiuto, utilizzata spesso dai naviganti, si vuole introdurre il tema dell’abitare conferendogli l’accezione di emergenza di uno dei tanti luoghi da salvaguardare e prendere in carico. Abitare e gestire quindi con cura, dopo aver osservato ciò che si ha davanti con attenzione. L’opera proposta per il Castel Sant’Elmo è una richiesta a tutti gli effetti in tre capitoli che restituiscono nel loro insieme il senso del gesto. L’intervento inizia collocando un’iscrizione della breve frase: “con il vento abbi cura delle pietre e dello sguardo che su di esse poserai” in prossimità dell’ascensore, principale luogo di accesso del visitatore. All’interno dell’ascensore, che penetra il castello interiore, una traccia sonora accompagna l’ascesa: il fruscio di una bandiera dispiegata al vento. Arrivati alla piazza d’armi si incontra, questa volta visivamente, una bandiera reale, manifestazione dello stato di necessità in cui vige il Castello. Questo drappo semitrasparente posto sugli spalti della piazza, richiama l’invito proposto all’inizio del percorso a riflettere sul valore e la fragilità delle cose e sull’importanza del rapporto che l’individuo intrattiene con la materia ed i luoghi del suo quotidiano e dello straordinario, in stretto dialogo con la città. Dal basso delle dense strade cittadine o sopra gli aerei spalti del castello, il velo semitrasparente, animato dal vento, si costituisce come sudario, che vela e disvela la città lontana e parti delle architetture del castello. L'opera si risolve, poi, nella proposta di cura e salvaguardia delle opere degli altri giovani artisti, attraverso l'avvio di un fondo per la loro manutenzione, accessibilità e restauro. L'opera si dissolve dunque in un ampio respiro che abbraccia invisibilmente il castello nella sua interezza. |
MULCIBER
Alberto Tadiello Sto immaginando la forza visiva di un enorme piatto metallico, sospeso tra gli spazi del castello. Un disco, rotondo, leggermente convesso, del colore dell’oro, del ferro, del rame, del bronzo... un nimbo metallico posato e installato per essere suonato, rintoccato. È medievale nel suo mostrarsi, primitivo nel suo essere percosso. Credo abbia una particolare vocazione a riverberare e animare l’architettura metafisica dello spazio, come una campana ha la capacità di riunire, chiamare, accogliere, adunare. Può indovinare con una certa versatilità un agio e una relazione con gli ingombri esistenti, una prossimità estetica con il vuoto desertico della piazza d’armi, una concomitanza con gli antri sotto le arcate o negli slarghi dei camminamenti perimetrali. |
Your light
Andreas Zampella Il sole ci illumina e ci obbliga naturalmente ad interagire con la terra; la notte, invece, priva di luce, tenta di imporci le condizioni per disabitare la terra in quanto in grado di nascondere ai nostri occhi la realtà. L’abitare non è un luogo o una costruzione specifica, ma una condizione esistenziale, un movimento raggiunto solo dalla nostra possibilità d’interazione; esso è permesso solo grazie alla luce, la quale fa sì che la realtà esista. Con la luce artificiale siamo in grado di evadere dalla volontà del buio e, andando contro natura, acquistiamo la possibilità di scegliere quale parte dello spazio vogliamo far esistere o meno. In questo modo l’illuminazione artificiale diventa simbolo di libertà e un luogo illuminato, simbolo dell’abitare. Nel 1818 nasce l’illuminazione pubblica; essa prevede un’illuminazione continua durante le ore notturne; risponde ad un’esigenza di sicurezza imponendo agli enti locali di occuparsi della stessa, senza però alcuna possibilità d’interazione. Questo tipo di illuminazione ha assunto lo stesso valore del sole in quanto impossibile da spegnere. Dall’obbligo naturale di abitare la terra impostaci dal sole, siamo arrivati all’obbligo artificiale di abitare la terra impostaci dall’illuminazione pubblica. L’idea di progetto che vi propongo ha il buio (o quasi) dalla sua parte e vede l’interazione dello spettatore con l’illuminazione pubblica del terrazzo del castello, poiché l’intervento prevede l’innesto di un interruttore sui singoli lampioni, rendendoli così indipendenti gli uni dagli altri. In questo modo lo spettatore avrà la libertà di interagire con un luogo pubblico, in quanto potrà decidere, tramite l’interruttore, quale parte della piazza fare esistere o meno, e quindi abitare o meno. L’opera vuole ristabilire un equilibrio tra legge naturale e legge artificiale. La convivenza generalmente è legata all’idea di una legge mai autodeterminata; la volontà è di testare una prima prova di libera convivenza. |
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Storia Vincitori e Finalisti
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