Mono No Aware di Marco Rossetti e Cesare Patanè - Progetto vincitore

CONCORSO GIOVANI ARTISTI– CASTEL SANT’ELMO, NAPOLI
NATURA QUOTIDIANA.
Ambiente e socialità

Progetto
Vincitore Rossetti Patane'2

Nel corso irreversibile dei processi naturali si incastra la bellezza lucente dello scorrere del tempo che riflette nell’animo di chi la osserva la vita stessa: effimera, transitoria, spontanea. Ogni gesto della natura e del comportamento umano ha come obiettivo rituale quello di fondersi per gestire armonia ed equilibrio. Il tempo presente riflette nei pezzi mancanti del passato per un dialogo immediato con il futuro; convertendo la caducità del bello, dell’arte, della natura... in una risorsa per la sensibilità collettiva di ogni tempo. La concezione estetica del reale si esprime nello stupore, nell’ammirazione e proprio qui, nella bellezza delle epoche che passano, si eleva la sostenibilità, ambientale e sociale, a un livello indefinito. L’osservatore che contempla il luogo, che ammira l’opera, si unisce all’idea della meraviglia in una serena rassegnazione sulla natura delle cose. L’opera è costituita da superfici di varie dimensioni in metallo cromato, collocate in vari punti del castello che vanno a sostituirsi agli elementi mancanti della struttura corrosi dal tempo. L’opera quindi risulta liquida, in qualche modo organica, proprio per il suo adattarsi in modo naturale alle forme che lo ospitano. Individuando un elemento dell’installazione si può notare ciò che viene riflesso dalla sua superficie cromata, deformato dalla sagoma e dall’immaginazione.

Progetto
Vincitore Rossetti Patane'

La Giuria, composta da Anna Imponente, Direttore del Polo museale della Campania e Presidente della Giuria; Anna Maria Romano, Direttore di Castel Sant’Elmo e Responsabile del procedimento; Fabio De Chirico, Direttore del Servizio I-Arte e Architettura contemporanee della Direzione Generale Arte e Architettura contemporanee e Periferie urbane; Angela Tecce, curatore del concorso; Giuseppe Gaeta, Direttore dell’Accademia di Belle Arti di Napoli; Giuseppe Morra, Direttore Museo Archivio Laboratorio per le arti contemporanee Hermann Nitsch; Gianluca Riccio, curatore e critico d’arte; Alessandra Pacelli, giornalista della redazione Cultura de Il Mattino; Alessandra Troncone, curatrice; Luigi Ratclif, Segretario dell’Associazione per il Circuito dei Giovani Artisti Italiani, ha selezionato il progetto vincitore Mono No Aware di Marco Rossetti e Cesare Patanè con la seguente motivazione:

Un progetto che pone l’accento sullo scorrere del tempo come condizione inevitabile della natura delle cose, in grado di dotare l’architettura del castello di poetica bellezza. Il riferimento che nel titolo viene fatto al concetto giapponese di partecipazione emotiva alla complessa armonia della natura rivela l’originalità e la sensibilità con cui è stato interpretato il tema della VII edizione del concorso. Nell’azione erosiva del passaggio del tempo sul tufo, gli artisti innestano una riflessione sul recupero delle preesistenze attraverso un intervento minimale, che cattura gli elementi naturali e architettonici fondendoli in un’esperienza capace di riportare l’opera alla perenne contemporaneità, attraverso le superfici specchianti in cui si riflette l’uomo di oggi. La mutevolezza dell’immagine riflessa apre inoltre il monumento su cui si snoda a infinite e sempre nuove letture, ricercando la sensibilità collettiva di ogni tempo.

Opera realizzata
Vincitore VII opera realizzata




 

 

Finalisti VII edizione

CONCORSO GIOVANI ARTISTI– CASTEL SANT’ELMO, NAPOLI
NATURA QUOTIDIANA.
Ambiente e socialità

 

I PROGETTI DEI 10 FINALISTI


 

Caffè sospeso

Sonia Andresano

Il caffè sospeso è un'abitudine filantropica un tempo viva nella tradizione sociale napoletana che, mediante il dono della consumazione di una tazzina di caffè espresso a beneficio di uno sconosciuto, innesca ancora oggi una sorta di catena della solidarietà. Questa usanza faceva parte di un repertorio di gesti coesivi e solidali che erano in uso nella società napoletana; ma il caffè serve ancora a consolidare legami. Ho deciso di invitare due funamboli al Castello che, sospesi nel cielo di Napoli, si incontrano a mezz’aria mentre uno tenta di offrire all’altro un caffè. Quella che per noi è un’azione quotidiana, banale e ripetuta diventa un gesto visionario, un gioco di equilibri e di resistenze, un momento di aggregazione per i cittadini invitati a prenderne parte. Questo lavoro rispetta l’ambiente, il contesto in cui si trova, prendendo in prestito un gesto nato proprio a Napoli e crea un evento performativo spettacolare ma allo stesso tempo semplice e complesso. Il rischio di un fallimento appartiene alla casualità dell’evento. Questo appuntamento nel vuoto rappresenta l’incertezza dei rapporti umani ma scommette positivamente sulle possibilità di riuscita delle relazioni. L’azione è coraggiosa ed esprime letteralmente il titolo. La performance verrà documentata con video e foto e tutta la strumentazione tecnica verrà lasciata come installazione site specific. I poli opposti delle funi rappresentano simbolicamente due punti del Castello, due lati della città adesso in comunicazione.

 

DON! DON!

Marco Donisi

“DON! DON!” è la voce delle campane. L’intento del progetto è di ripristinare il funzionamento della campana grande, presente nel campanile della Piazza d’Armi, per far sì che suoni una volta al giorno, per pochi minuti, con rintocchi rapidi e secchi, cadenzati a brevi intervalli regolari di tempo. È il ritmo del “suono a martello”, che identifica una pratica civile molto comune, soprattutto nei paesi più piccoli, quando è necessario avvisare la popolazione di un pericolo imminente, dovuto a una calamità naturale o a un incendio. Si trattava infatti di una esortazione rivolta agli uomini validi, affinché lasciassero il lavoro o le case per raggiungere velocemente la piazza del paese e organizzare i soccorsi. Questo uso, nel tempo, è stato limitato ma è un’usanza antica e ancora profondamente sentita da tutti, al punto che, ancora oggi, quando le campane suonano a distesa per annunciare un avvenimento, il paese cambia aspetto e torna a vivere, perché il suono è tutt’uno con la storia e con la vita della comunità e dei suoi abitanti. In questo caso, “DON! DON!” non è l’opera, bensì un pretesto relazionale, un segnale per invitare le coscienze a riunirsi, se accadrà, per riflettere in maniera corale sulla natura, sulle funzioni e sulla sostenibilità di un museo. Riscoprire la natura quotidiana dell’incontro, guardarsi negli occhi, sincronizzare i respiri, sfiorarsi e chiedersi: «Perché un museo chiede l’intervento dei suoi valorosi visitatori?» Ciò che ne scaturirà sarà la vera opera.

 

Arco delle Malerbe

Leo Gilardi

“L’uomo è la prima e principale malerba sotto la cui influenza si sono evolute tutte le altre” HARLAN e DE WET La flora urbica è strettamente legata all’identità della sua città. In qualche modo, come degli abitanti, hanno conformato il carattere naturale di Napoli. Oggi fanno parte del nostro quotidiano ma, come noi la loro provenienza è eterogenea, un rimescolamento antico. La loro stessa presenza è un lascito dei momenti storici in cui si sono stabilite nella città, specie arrivate come semi clandestini di rotte commerciali, oppure piante esotiche sfuggite alla coltivazione controllata. Queste piante così adattate alla città ci identificano, nella loro capacità di resilienza, malgrado condizioni talvolta problematiche, e nel creare un ambiente, una socialità viva, capace di accogliere nuove parti nella propria identità. L’Arco delle Malerbe è un elemento del vissuto quotidiano da attraversare, creando un momento d’incontro tra noi ed i nostri coabitanti del mondo vegetale, un confronto tra due identità intrinseche della città. L’opera si mostra rigogliosa alla stregua di un giardino verticale, una superficie viva, custode di un’identità biologica che è nostro patrimonio. La varietà di piante abitanti, come una vera e propria piattaforma d’informazione, apre possibilità per iniziative ludiche e di sensibilizzazione sull’ambiente urbano. Riferimenti per lo studio della flora locale. -“La flora di Napoli, i quartieri della città” A.De Natale *1 V.La Valva *2 1-Dipartimento di Biologia Vegetale Università degli Studi di Napoli "Federico II". 2-Dipartimento di Scienze Ambientali. Seconda Università degli Studi di Napoli. “Giungla sull’asfalto” D.Fazio. Ed. Diogene natura.

 

Arbour

Simone Mangione

Sarebbe innaturale sporgersi dagli spalti o scagliare lo sguardo oltre le fenditure della cinta che si affaccia sul Golfo e trattenere un moto di autentico stupore. Riconoscendo di non esser dispensato neppure io, dal fascino per l’incommensurabile, nel corso di una visita al Castello la mia curiosità è stata tuttavia dirottata su una targhetta, all’altezza del bastione settentrionale e da quella, a uno spiazzo delimitato da un’inferriata poco distante. La targhetta si appellava a un certo G. A. Rizzi Zannoni, che in seguito a opportuni rilevamenti, permise di determinare, come centro delle coordinate della Carta del Regno di Napoli, esattamente quel punto, luogo della suddetta affissione. Punto panoramico non convenzionale. Intervallo spaziale che, regolarmente, passa inosservato ai più; qualora ci si soffermasse un istante, non offrirebbe particolare sollievo alla vista: una coltre di abitazioni e fabbricati si avvicendano senza soluzione di continuità, raccogliendo il lascito di un’indifferenza ancora dolorosamente diffusa, per il dato naturale. Tuttavia la terrazza che ho individuato come oggetto della mia attenzione, è un luogo ricco di potenziale che attende solamente di essere espresso. Da questo esclusivo punto d’osservazione, alzerò un pergolato (Arbour), la cui intelaiatura non sarà altro che la più recente topografia di Napoli: una rete gettata sulla città, a raccogliere l’orizzonte umano, il quotidiano fermento dei suoi abitanti da una posizione privilegiata, un locus amoenus, un luogo di sostanziale respiro. Di fatto l’intervento sarà completato dall’inserimento di piante rampicanti lungo il perimetro dell’area interessata, che andranno a riappropriarsi idealmente del paesaggio Partenopeo, intrecciandosi alla lamiera intagliata del pergolato. La struttura non occulterà ma integrerà il paesaggio urbano retrostante, come un finissimo mosaico o intarsio, fra le maglie del pergolato e la vegetazione rampicante, modellando un disegno in perpetuo divenire.

 

 
Gli abitanti del Castello (working title)

Elena Mazzi

Il Castello è un'architettura dalle forme particolari e decise. I camminamenti, le salite e discese, le curve e i punti di vista cruciali sono parte integrante del suo fascino. Lo spazio va esperito nella sua maestosità e bellezza. Ci si sofferma a contemplare la grandiosità della vista e del paesaggio circostante, oltre ai dettagli architettonici. La sua location lo pone anche in un punto silenzioso della città, circondato da piccole vie da cui si spandono richiami di vita quotidiana. All'ingresso, un giardino con qualche panchina accoglie il visitatore che si ferma per una sosta dopo la salita, prima di proseguire la visita. MI piacerebbe per quest'installazione, ampliare l'area di riposo e riflessione con una serie di particolari sedute sonore mobili, tali da potersi collocare in diversi punti strategici rispetto ai panorami possibili, nonché luoghi di transito e pausa. Le sedute racconteranno il paesaggio sonoro circostante, in un gioco di dialogo e rimandi tra interno ed esterno. Vorrei realizzare delle sedute (panchine) che andranno a mescolarsi con quelle già esistenti, e che riprenderanno alcuni dettagli architettonici del castello. Con l’aiuto dell'artista napoletana residente a Bruxelles, Anna Raimondo, il cui lavoro attiva spesso momenti di incontro e di scambio attraverso narrazioni e dispositivi sonori, vorremmo trasformare il momento d’ascolto in un’esperienza estetica alterando sia la funzione della panchina che la percezione dell’orizzonte visivo. Da queste panchine, un sistema di casse posizionato al suo interno farà emergere un'installazione sonora composta da suoni registrati all'interno del museo, in dialogo con suoni catturati nelle vicinanze dello stesso. Voci, narrazioni, rumori di vita quotidiana, si alterneranno e sovrapporranno in un dialogo continuo, andando a svelare convergenti punti di vista sul castello, la sua fisicità e quotidianità, ma anche quella delle persone che lo vivono ogni giorno da vicino.

 

PANICO en plein air

Fabrizio Monsellato

Se il visitatore fosse invitato non solo a guardare ma a sentire? La contemplazione della natura ha da sempre destato nell’uomo un sentimento di ammirazione e di co-appartenenza, ma allo stesso tempo di paura e sgomento, definito “panico”. Oggi questo termine, ormai usato con accezione negativa, si riferisce ad una sensazione di paura inaspettata e di paralisi emotiva di cui l’individuo è facilmente vittima. Il progetto prevede di sottoporre al visitatore la lettura di questa parola, riprodotta assemblando piccoli elementi floreali in porcellana e installata al di sopra degli archi del porticato d’accesso a piazza d’armi. La scelta di recuperare la porcellana di Capodimonte, divenuta desueta, vuole rimandare a quel bisogno di riprodurre fedelmente la natura, che attraverso questa tecnica potè essere immortalata e contemplata nei salotti cittadini divenendo oggetto di quotidianità domestica e rappresentanza sociale. “Panico en plein air” sfrutta un gap nell’osservatore, che leggendo la parola composta con un lettering in corsivo di grande formato, si trova disorientato tra il significato “panico” nell’accezione decadentista più attuale e l’estetica rassicurante e romantica del significante, che diviene ironico contraltare contemporaneo. In ultima analisi, l’invito è all’allontanamento dallo stato d’animo di comune disagio della nostra epoca e alla contemplazione del paesaggio circostante fino l’immersione in esso, che suggerisce il recupero dell’originaria accezione del termine, celebrando il sentimento panico.

 

Nun te preoccupa e’ mè -. ..- -. / - . / .--. .-. . --- -.-. -.-. ..- .--. .- / . .----. / -- .

Flavio Moriniello

Qualsiasi riflessione sul concetto di ambiente e sostenibilità non può prescindere da un esame sui nostri comportamenti quotidiani e il loro impatto. L’uomo contemporaneo, nell’epoca dei social network, si relaziona in maniera ipertrofica all’immagine: fotografare ad un ritmo sfrenato e visionare distrattamente uno sproporzionato numero di scatti occupa, e talvolta supera, per tempo ed importanza, attività primarie del nostro vivere. Inoltre la fotografia, come mezzo tecnologico, si fonda sulla chimica prima e sull’elettronica poi, industrie dall’elevato impatto ambientale. Per questi motivi si è pensato di dar vita ad una sola immagine, densa di significati e sinergica con l’ambiente, progettando una tecnica di “registrazione” basata sì sulla luce, ma indipendente dai supporti classici e in netto contrasto con l’artefatto del XXI Sec. di lenta reintegrazione e rapido godimento. Si vuole, altresì, che la stessa sia in grado di accogliere il decorso biologico in un contesto urbano. L’opera è un’installazione che consiste nella creazione di un giardino verticale costruito su 16 pannelli di 1m2, posti su una parete scelta, rivolta al mare. 1. Dopo aver preparato il manto seminando piante pioniere, sarà su questo applicata una sagoma che priverà alcune zone d’aria e luce. L’effetto, naturalmente, produrrà una “foto” bicolore (giallo/verde) di un messaggio cifrato, la cui traslitterazione dal codice Morse al napoletano dà il nome all’Opera e si rivolge ai protetti di Sant’Elmo, i naviganti.(installazione) 2. L’Opera esposta all’aperto prenderà una propria evoluzione: nelle aree morte la flora autoctona germinerà. Il processo naturale muterà la precedente impressione. “Non ti preoccupare di me” è la missiva che sintetizza come la sostenibilità sia un concetto che riguarda più noi che la natura. Essa, come il giardino verticale, trova il suo equilibrio autonomamente. Noi senza lei?

 

Tromba Marina

Paolo Patelli

La micro-struttura architettonica si presenta come una estensione della geometria del castello, e richiama sia l’immagine di una torre circolare nel paesaggio, ibridata con gli angoli della fortezza, che la forma evanescente della tromba marina, un fenomeno atmosferico consistente in un vortice ad asse verticale che si leva a una certa altezza dalla superficie del mare e solleva le acque aspirandole e facendole muovere con sé. Una tenda stampata a mano in serigrafia presso il Charles Nypels Lab della Jan van Eyck Academie di Maastricht, dove l’autore è stato artista in residenza tra il 2017 e il 2018, riprende raffigurazioni storiche del fenomeno naturale, suggerendo una percezione “aumentata”, in modo analogico, della vista del mare dal castello. La tenda, parzialmente trasparente, è fissata alla struttura ed è scorrevole lungo i travetti orizzontali. Una seduta in legno nasconde i sacchi di sabbia necessari a stabilizzare la struttura metallica. La scelta di proporre una illustrazione scientifica, il documento di una tromba marina nel Mediterraneo nel XIX secolo, è significativa nel contesto del tema di concorso, in quanto ci ricorda, attraverso un intervento estetico, la necessaria appartenenza e la conseguente responsabilità della nostra specie rispetto alla natura: fenomeni incontrollabili come trombe marine e tornado intensi si manifestano in modo sempre più frequente nei mari italiani a causa dell’innalzamento della temperatura superficiale dell’acqua dovuta al riscaldamento globale. È quanto emerge da una ricerca ENEA – CNR, in cui si nota inoltre come la proporzionalità tra il calore del mare e l’intensità del tornado non sia lineare. Superata una certa temperatura, la violenza di questi fenomeni aumenterà in maniera più che proporzionale.

 
 
Talking about

Nicola Piscopo

Il flusso turistico per lo più concentrato verso il panorama della sommità della città costituisce la vera e propria quotidianità del castello, dove le opere sono l’opportunità per il visitatore contemporaneo di vivere in modo meno distratto e più profondo l’esperienza. Lungo il percorso delle rampe, subito dopo l’ingresso principale, sotto un’arcata, vi è un piccolo ambiente (forse di vedetta) illuminato da due finestre, completamente ricoperto da graffi e incisi: nomi, date e cuori come un’enorme pianta rampicante. Sembra una banale attività adolescenziale ma un occhio attento può notare uno stile ben definito che ha riscosso il consenso dei soggetti per poi divenire una legge da seguire, come ne “Il Gene egoista” di R. Dawkins. Una teoria memetica più esaustiva e ben lontana dalla genetica ci giunge da S. Blackmore con la socializzazione orizzontale, ovvero quella tra coetanei; e quella verticale, ovvero tra generazioni. Non un atto di vandalismo, bensì il graffito di un’archeologia contemporanea, un reperto sociologico che si è presentato ai miei occhi come una grande scoperta. Proseguendo, le pareti intonacate sembrano mostrarci il frammento di un affresco: un messaggio nascosto, censurato o protetto come un vecchio stato di natura il cui seme è ancora lì, in quell’ambiente denaturalizzato e rinaturalizzato, analogamente a tutta la storia di Castel Sant’Elmo. In linea con la mia poetica, il mio obiettivo è quindi di creare un dialogo con quell’ambiente e con i suoi abitanti. Il progetto prevede l’innesto al suo interno di 4 elementi lungiformi che collegando pavimenti, pareti e soffitti formino un grande hashtag, il simbolo della comunicazione contemporanea. Sono come tronchi che senza toccarsi permettono una discreta circolabilità. Costruiti in ferro e smaltati di bianco si consegnano alla vita di quell’ambiente divenendo non solo un nuovo supporto per il graffitismo storico del luogo, ma anche per possibili e quotidiani sviluppi memetici.

 
Uno + Uno = Infinito.

Raffaella Romano

L’orizzonte è la linea che sottolinea l’infinito. (Victor Hugo)L’opera utilizza la struttura dell’arcata panoramica per ampliare le soglie percettive, permettendo all’osservatore di instaurare un contatto più ampio e ravvicinato con il paesaggio naturale ed urbano, proiettandolo nelle mura del Castello. Rivestendo l’arco interno con acciaio specchiato, si verrà a creare una cornice interattiva che cambierà secondo il punto di osservazione. La veduta di Castel Sant’ Elmo che ci mostra i quattro elementi della natura, diviene il “luogo senza mura” per la perfetta alchimia col fruitore, dove tutto si trasforma e gli opposti si congiungono.Il sotto diviene il sopra, il lontano diventa vicino, ciò che è a destra si sposta a sinistra e la linea d’orizzonte trova il suo doppio. Il cielo tra due orizzonti crea una dimensione altra. Il sistema occhio cervello che ribalta la visione è messo in tilt. L’osservatore vive un’esperienza completamente immersiva e attraverso gli specchi, viene proiettato fisicamente all’infinito in questo scenario surreale, avvicinandosi a quel senso primitivo di stupore e meraviglia, di caducità di fronte alla grandezza della natura. L’opera intende sottolineare ciò che è già quotidianamente esistente, soggetto costantemente all’Impermanenza, ad un ciclo di trasformazione infinito e lo evidenzia grazie alla fisica della luce. Tutto cambierà dall’alba al tramonto fino all’eclissi dell’opera, quando le luci della città si spegneranno.

 

 

 

 

 

Storia Vincitori e Finalisti

Concorso un'Opera per il Castello - Napoli, Castel Sant'Elmo



webmaster Gabriella Pennasilico


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